L’apolitica del territorio
(pubblicato su “il Riformista” online del 26/09/2009)
Caro direttore,
la triste vicenda dei soldati uccisi nell’attentato di Kabul ci dà ancora una volta l’idea di quale sia la pasta politica di cui si costituisce la Lega. Abbiamo spesso sentito dire dai leghisti che la loro politica non è ostile agli extracomunitari ma ha piuttosto l’idea di aiutare queste persone nelle loro terre. Scopriamo ora che non è così. Le parole di Bossi sul ritiro dei militari dall’Afghanistan ci danno infatti il segno che, anche sul tema del sostegno indigeno, le menti e i cuori dei leghisti non riescono ad andare oltre il loro famigerato “territorio”. Un territorio che essi sembrano intendere più come il limite che l’animale demarca con i propri bisogni che come la comunità che Alfredo da Giussano difendeva con la propria spada. Vi è infatti nell’idea del ritiro dei soldati dall’Afghanistan un torto che i leghisti, prima che alla comunità internazionale e al popolo afghano, fanno innanzitutto alla figura del militare. Che un militare possa cadere, infatti, in una missione è una componente strutturale del suo lavoro e una prova millenaria della sua virtù specifica, il coraggio; che esso invece si ritiri dopo una perdita è esattamente l’antitesi della sua essenza. Non sono parole di chi scrive e non è sulla linea del fronte, ma quanto abbiamo sentito ripetere più volte dagli stessi militari italiani impegnati nei teatri di guerra contemporanei. Se ce ne era dunque bisogno, abbiamo ancora avuto la prova di quale sia la cifra costitutiva della Lega. Di fronte alla crisi di un ordine civile, con le sue conseguenze economiche, sociali, culturali e religiose, ci sono due tipi di risposte: quella del ritorno a uno stato di ferinità in cui ogni animale circoscrive con i suoi bisogni il proprio territorio o quello della paziente, dolorosa e lunga tessitura di un nuovo ordine civile. I leghisti ci volevano fare intendere di seguire la via della politica attraverso la strategia della circoscrizione nella nostra terra e di un generoso e intelligente aiuto nei paesi extracomunitari. Non è purtroppo così. L’idea è invece quella del leone della Serenissima che digrigna i denti mentre marca il territorio con i suoi bisogni. Povera antica e nobile Serenissima, repubblica sulla cui accoglienza verso l’ospite scriveva Francesco Petrarca: “solo porto a cui, sbattute per ogni dove dalla tirannia e dalla guerra, possono riparare a salvezza le navi degli uomini che cercano di condurre tranquilla la vita”.